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Le parole sono, da sempre, per Gianni Priano un'ossessione. E un vizio. Infatti ne ha scritte e ne ha dette moltissime. E forse sarebbe ora che stesse zitto. Invece eccolo qui, dopo una pigrissima carriera da recensore, critico letterario, scrittore di racconti e versi a presentarci una specie di vocabolario in cui le parole camminano non soltanto tra Genova e Monferrato ma, anche, tra un incontenibile narcisismo e una rincorsa, desiderata e mai raggiunta autenticità di vita. Priano scruta e scrive di una società consumata dal consumo senza rimpiangere il freddo patito da sua madre in quegli autunni e inverni piemontesi maledettamente nevosi, e crede di avere capito che il popolo delle osterie si è riversato nei Mc Donald's e non certo nelle enoteche fighette. Scruta e parla, Gianni Priano. E ci sbatte in faccia le sue parole. Non ha vassoi d'argento per portarle e offrirle. Le sue parole sono gioghi e, dunque, valichi e costrizioni. Perché la parola abita una cosa che si chiama limite. Dalla parola detta e scritta non arrivano salvezze. Ma senza parole manco si può nominare, la salvezza.